I custodi della tradizione e della qualità: Salaroli e Lardaroli nella Bologna medievale 

Di Rolando Dondarini

 

Tra la fine del primo e l’inizio del secondo millennio l’Europa beneficiò di una crescita economica complessiva favorita da un generale miglioramento climatico che si tradusse in un aumento delle produzioni agricole, in un cospicuo incremento della popolazione e nello sviluppo delle attività manifatturiere. Ne conseguì un nuovo impulso agli scambi commerciali che naturalmente si ripercosse sulla vitalità e sull’espansione dei mercati urbani vecchi e nuovi. La crescente mobilità di uomini e cose moltiplicò le sedi di mercato, tra le quali emersero quelle collocate alla confluenza di itinerari terrestri e fluviali, dove grandi fiere stagionali vedevano convergere merci d’ origine lontana. In questo processo di crescita chiunque in città svolgeva attività lavorative ebbe la possibilità di beneficiare di garanzie, tutele c opportunità di partecipazione aderendo al sodalizio che lo associava a chi esercitava lo stesso mestiere, cioè alla sua compagnia d’arte.

Sia che fossero di costituzione recente sia che si fossero sviluppate da precedenti consorzi, come i ministeria altomedievali o le successive scholae, le corporazioni delle arti intendevano rispondere alle esigenze di solidarietà e di mutua assistenza indotte dall’esercizio della stessa professione, regolandone l’accesso, i tempi, i modi e i costi di produzione. Pertanto, fin dai primi secoli del secondo millennio hanno svolto un ruolo di primo piano nella vita delle città europee, non soltanto in campo economico, ma anche in quello sociale c culturale, curando il mantenimento dell’equilibrio e del dialogo tra le varie componenti del mondo produttivo e promuovendo l’istruzione professionale della manodopera. Fu il loro spirito d’iniziativa a promuovere la transizione da forme di produzione arcaiche a precoci modelli di sistemi integrati e moderni.

Quando alla fine del XII secolo comparvero sulla scena politica bolognese e nei documenti ufficiali, le associazioni di mestiere locali avevano già una loro storia più o meno risalente a tempi lontani o recenti.
Furono quelli i tempi in cui Bologna seppe inserirsi nella ripresa e nello sviluppo generali con un incremento sensibile della sua popolazione e delle sue produzioni e con l’espansione della propria capacità di controllo, dapprima sui territori circostanti, poi in un’area sempre più ampia, fino a urtare e a scontrarsi con le analoghe spinte delle città rivali.

Per tutto il primo secolo della sua esistenza (XII) il Comune era rimasto nelle mani dei magnati il ceto aristocratico formato dalle famiglie dei milites, oltre ad essere detentori di cospicue proprietà fondiarie e immobiliari, erano collegati con i vertici della curia episcopale, che continuava a ricoprire un ruolo di protagonista della vita politica cittadina. Intanto però, con l’aumento delle attività, delle produzioni e degli scambi, cresceva in numero e rilevanza il ceto degli artigiani e dei commercianti e la capacità di incidenza delle loro compagnie o “arti”.

Dopo un periodo di contrasti e di rivolte, alla fine del terzo decennio del Duecento le forze produttive conquistarono una presenza stabile nel governo cittadino con la costituzione del Collegio degli Anziani e Consoli che si affiancava al Podestà e agli altri organi del Comune. I Consoli erano i rappresentanti delle arti del Cambio: della Mercanzia, mentre gli Anziani erano designati dalle altre compagnie popolari. La loro incidenza crebbe nei decenni Successivi, soprattutto della metà del secolo, quando si istituirono le magistrature del Consiglio del Popolo e del Capitano del Popolo.

Privi del diritto di organizzarsi e di eleggere propri rappresentanti rimanevano solo coloro che esercitavano attività che dovevano rimanere sotto lo stretto controllo del Comune. Questo divieto di associazione riguardava settori particolarmente delicati per gli interessi cittadini; tra essi quelli strettamente legati alla presenza degli studenti, come la gran parte delle attività connesse al settore dei trasporti, a quello delle attività ricettive, a quello della produzione libraria e a quello dell’approvvigionamento e della distribuzione alimentare, fatta eccezione per i beccai, i pescivendoli e i Salaroli.

Gli statuti comunali attestano che a metà del Duecento le compagnie che avevano diritto di eleggere propri rappresentanti nel Collegio degli Anziani e Consoli e tra i loro consiglieri erano ventuno: beccai, bisilieri, callegari, cambiatori, calzolai, cartolai, conciatori, cordovanieri, drappieri, fabbri, falegnami, linaroli, mercanti, merciai, muratori, notai, due società di pellicciai, pescatori, Salaroli, sarti. Si trattava di mestieri che rispondevano ai bisogni e ai servizi di una Comunità complessa e articolata che spesso affondavano le loro radici in attività di lontana origine e tradizione. il fatto che già in precedenza i Salaroli fossero tra gli esercenti del settore alimentare a cui non si impediva di associarsi, ne attesta una consolidata rilevanza. Tale rilevanza scaturiva innanzitutto dalla loro prerogativa di utilizzare e maneggiare il sale, un genere particolarmente importante nell’economia, nel commercio e nelle attività di trasformazione e conservazione degli alimenti; tanto necessario da essere man mano adottato ovunque come origine e movente per l’imposta che gravava su ogni persona dopo il quarto anno di età (boccatico). Non a caso il loro stemma raffigurava una cesta piena di sale; ma ciò avrebbe semmai giustificato il mantenimento di uno stretto controllo comunale e quindi il divieto di organizzarsi in corporazione. La loro facoltà di farlo và dunque associata ad altri fattori quali la loro consistenza numerica che doveva aggirarsi intorno alle trecento unità, se poi nel 1294, quando già si era registrata un’inversione della crescita demografica, ne furono contati 281 e la loro conseguente entità economica che incideva in maniera cospicua sulle sorti complessive della comunità.

Nel 1242 emanarono i loro primi statuti che, dopo diversi aggiustamenti, furono redatti in forma definitiva nel 1255. Della loro corporazione facevano parte anche i lardaroli, i formaggiai e i venditori d’olio, ma anche tutti coloro che lavoravano e vendevano altri animali (pollaioli e ovaioli) e tutti i derivati delle macellazioni, come il sego per le candele e il grasso per il sapone. Delle successive redazioni statutarie in periodo medievale se ne sono conservate una della fine del Duecento, una del 1310, una del 1376, una del 1396 e una del 1423. I lardaroli, a cui competeva la vendita di “carni salate, lardo salato, olio ed altre cose simili”, pur rimanendo all’interno della corporazione dei Salaroli, nel 1323 stilarono propri statuti tesi a regolare con precisione le norme da adottare nella loro attività. Analoga era la situazione dei formaggiai. Fino al 1666 della corporazione fecero parte anche i gargiolari, cioè coloro che lavoravano la canapa per ricavarne i gargioli, fibre grezze che con ogni probabilità venivano usate per legare gli insaccati. La compagnia aveva sede in un’antica casa ancora esistente ml la via Pescherie e vicolo Ranocchi; la sua festa si celebrava il 21 settembre di ogni anno, giorno dedicato al suo protettore san Matteo Apostolo, al quale allora erano consacrate una cappella situata all’interno della sede e una chiesa vicina non più esistente.

Benché ovviamente sensibile alle forti oscillazioni delle vicende economiche del tardo medioevo bolognese, l’arte dei Salaroli consolidò e rafforzò il suo rilievo all’interno del mondo produttivo cittadino ed espresse ligure di primo piano nella gerarchia sociale della comunità, per poi fissare e suggellare nei secoli successivi le prerogative di alcune sue produzioni che ovunque ormai si associavano a Bologna.